La maggior parte degli scrittori indiani ha attribuito all’opera di Patanjali, Yoga Sūtra, una datazione di più di duemila anni, nella quale lo Yoga Classico è stato codificato. Vengono menzionati il III ed il II secolo a.c. come date di questa sistematizzazione. Nell’Occidente, tuttavia, è popolare l’opinione che questo testo sarebbe stato strutturato seicento o settecento anni dopo, fra il IV ed il VI secolo d.c.
Qualunque sia stato il periodo storico, lo Yoga Sutra illustra in sintesi il cammino Yoga volto alla Realizzazione del Sé e a Patanjali si deve la codifica e la compilazione sistematica dell’arte e della scienza dello Yoga.
Lo Yoga Classico, chiamato anche Patanjala Yoga, è costituito dalle otto parti menzionate nello Yoga Sutra (capitolo II, sutra 29), anche se l’autore offre un’ampia varietà di tecniche per armonizzare la mente e il corpo, il percorso principale si articola in otto stadi fondamentali:
- Yama: Le cinque restrizioni etiche (morale universale)
- Niyama: Le cinque prescrizioni etiche (osservanze personali)
- Asana: Le tecniche organiche (posture del corpo)
- Prānāyāma: L’espansione della bioenergia attraverso la respirazione (controllo del prana)
- Pratyāhāra: L’emancipazione dei sensi esterni (controllo dei sensi)
- Dhāranā: La concentrazione (coltivare la consapevolezza percettiva interna)
- Dhyāna: La meditazione (devozione verso il divino)
- Samādhi: L’unione con il divino (pura consapevolezza, ipercoscienza).
1. Yama
La prima parte, yama, è in relazione al comportamento etico e al senso di integrità, ci aiuta a focalizzarci nel nostro comportamento , su come agiamo nella vita di tutti i giorni. Si tratta di pratiche universali relazionate con la regola d’oro “Tratta gli altri come vorresti che gli altri trattino te”.
I cinque yama sono:
Ahimsa è la non violenza;
Satya è la veridicità;
Asteya è non rubare;
Brahmacharya è non disperdere energia;
Aparigraha è non accumulo.
2. Niyama
Niyama, la seconda parte, ha a che fare con la autodisciplina e le pratiche spirituali, come per esempio lo sviluppo di pratiche di meditazione personale o l’abitudine ad una vita contemplativa.
I cinque niyama sono:
Saucha è la purezza;
Samtosa è la contentezza;
Tapas è l’autodisciplina;
Svadhyaya è lo studio del sé;
Isvara è abbandonarsi a “Dio”.
3. Asana
Nella visione dello Yoga, il corpo è il tempio dello spirito, per cui il prendersene cura costituisce una tappa importante delle nostra crescita spirituale. Attraverso la pratica delle asana sviluppiamo l’abitudine alla disciplina e la capacità di concentrazione che sono necessari per la meditazione.
4. Pranayama
Generalmente viene tradotto come “controllo della respirazione” e consiste in tecniche disegnate per ottenere il dominio sul processo respiratorio per apprendere cosi a riconoscere la connessione tra la respirazione, la mente e le emozioni. Il significato letterale di pranayama è “estensione della forza vitale”, per questo gli yogin la considerano come una pratica che ringiovanisce il corpo ed estende la durata della vita.
5. Pratyahara
Pratyahara, significa ritirare i sensi. Durante questa fase facciamo uno sforzo cosciente per ritirare la nostra attenzione dagli oggetti materiali e dagli stimoli esterni. Pienamente coscienti e coltivando il controllo dei nostri sensi, dirigiamo la nostra attenzione verso l’interno. Questa pratica di Pratyahara ci dà l’opportunità di dare uno sguardo a noi stessi. Questo ritiro ci permette di osservare obiettivamente i nostri vizi e difetti, le abitudini che potrebbero compromettere la nostra salute e che probabilmente sono da ostacolo alla nostra crescita personale.
6. Dharana
Nella misura che ogni pratica ci prepara per la seguente, pratyahara crea lo scenario per dharana o concentrazione. Essendoci ritirati dalle distrazioni esterne adesso possiamo affrontare le distrazioni della stessa mente. Non è un compito facile! Nella pratica della concentrazione, che precede la meditazione, apprendiamo a rallentare il processo del pensare mediante la concentrazione in un solo oggetto mentale: un centro energetico specifico nel corpo, l’immagine di una divinità, o la ripetizione silenziosa di una vibrazione sonora. Abbiamo già cominciato a sviluppare la nostra capacità di concentrazione nelle fasi delle posture, del controllo della respirazione e del controllo dei sensi. Durante asana e pranayama nonostante si presti attenzione alle nostre azioni, l’attenzione non è ancora fissa. La nostra concentrazione cambia costantemente fino a quando affiniamo tutti i molti dettagli delle differenti posture o della tecnica della respirazione. Con pratyahara ci auto-osserviamo, ora con dharana focalizziamo la nostra attenzione in un solo punto. I periodi prolungati di concentrazione conducono naturalmente alla meditazione.
7. Dhyana
La meditazione o contemplazione è la settima fase dell’Ashtanga, è il flusso ininterrotto della concentrazione. Anche se la concentrazione (dharana) e la meditazione (dhyana) possono sembrare essere la stessa cosa, esiste una sottile distinzione tra le due. Mentre dharana pratica l’attenzione fissa in un solo punto, dhyana è, in ultima istanza, uno stato di essere molto cosciente e senza focalizzazione. In questa fase la mente si è calmata e nella quiete non produce nessun pensiero in assoluto. La forza e la resistenza che si necessitano per arrivare a questo stato di quiete sono impressionanti. Però non arrenderti. Per quanto possa sembrare un compito difficile, non è impossibile. Ricordati che lo Yoga è un processo. Anche se non possiamo realizzare la postura perfetta, o lo stato ideale di coscienza, beneficiamo comunque in ogni fase del nostro progresso.
8. Samadhi
Patanjali descrive questa ottava fase come uno stato di estasi. In questa fase lo yogin che medita si “fonde” con il punto di focalizzazione e trascende il sé completamente. Realizza una profonda connessione con il Divino, una interconnessione con tutti gli esseri viventi. Con questa realizzazione giunge la “pace che supera ogni comprensione” , l’esperienza della felicità e dell’essere in armonia con tutto l’universo. A prima vista questo può sembrare qualcosa di elevato, un obiettivo del tipo “più santo di Dio”. Se però analizziamo quello che davvero vogliamo dalla vita, non sono l’allegria, la soddisfazione e la libertà che cerchiamo di realizzare con la nostra lunga lista di speranza e desideri? Quello che Patanjali ha descritto come il culmine della traiettoria del Yoga è quello che in fondo tutti gli esseri umani aspirano di realizzare: la pace. Naturalmente questa ultima realizzazione dello Yoga, la illuminazione, non si può né comprare né possedere. Può solamente essere sperimentata, e il suo prezzo è la devozione continua dell’aspirante yogin.
Seguiteci nei nostri corsi a Bologna e in Toscana, inizieremo insieme un viaggio all’interiore del Sé, approfondendo ad uno ad uno questi otto stadi sopra descritti. Partiremo dalle fasi iniziali per scoprire come concentrarci nel perfezionamento della nostra personalità, come avere dominio sul corpo, e come realizzare una coscienza energetica di noi stessi. Tutto questo in preparazione alla seconda parte di questo viaggio dello Yoga che si occupa dei sensi, della mente e di come raggiungere uno stadio superiore di coscienza.